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Ricordando Giorgio Caproni, ecco le poesie più belle

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Ricordando Giorgio Caproni, ecco le poesie più belle

MILANO - Il 7 Gennaio 1912 nasceva Giorgio Caproni, uno dei più grandi poeti italiani del Novecento. Carlo Bo, uno dei suoi primi critici, lo definì il “Poeta del sole, della luce e del mare”. I temi portanti della sua poetica sono: la madre, rievocata e ricordata in molte poesie; Genova, considerata la sua "città dell'anima"; il viaggio, un viaggio allegorico alla scoperta della vita. In occasione del suo anniversario della sua nascita, ecco una raccolta delle poesie più belle.

Sassate

Ho provato a parlare.

Forse, ignoro la lingua.

Tutte frasi sbagliate.

Le risposte: sassate.

 

Alba

Amore mio, nei vapori d'un bar

all'alba, amore mio che inverno

lungo e che brivido attenderti! Qua

dove il marmo nel sangue è gelo, e sa

di rinfresco anche l'occhio, ora nell'ermo

rumore oltre la brina io quale tram

odo, che apre e richiude in eterno

le deserte sue porte?... Amore, io ho fermo

il polso: e se il bicchiere entro il fragore

sottile ha un tremitìo tra i denti, è forse

di tali ruote un'eco. Ma tu, amore,

non dormi, ora che in vece la tua già il sole

sgorga, non dirmi che da quelle porte

qui, col tuo passo, già attendo la morte.

 

Perchè restare

Chi sia stato il primo, non

è certo. Lo seguì un secondo. Un terzo.

Poi, uno dopo l'altro, tutti han preso la stessa via.

Ora non c'è più nessuno.

La mia

casa è la sola

abitata.

Son vecchio

Che cosa mi trattengo a fare,

quassù, dove tra breve forse

nemmeno ci sarò più io

a farmi compagnia?

Meglio - lo so - è ch'io bada

prima che me ne vada anch'io.

Eppure, non mi risolvo. Resto.

Mi lega l'erba. Il bosco.

Il fiume. Anche se il fiume è appena

un rumore ed un fresco

dietro le foglie.

La sera

siedo su questo sasso, e aspetto.

Aspetto non so che cosa, ma aspetto.

Il sonno. La morte direi, se anch'essa

da un pezzo - già non se ne fosse andata

da questi luoghi.

Aspetto

e ascolto.

(L'acqua,

da quanti milioni d'anni, l'acqua,

ha questo suo stesso suono

sulle sue pietre?)

Mi sento

perso nel tempo.

Fuori

del tempo, forse.

Ma sono

con me stesso. Non voglio

lasciare me stesso uscire

da me stesso come,

dal sotterraneo

il grillotalpa in cerca

d'altro buio.

Il trifoglio

della città è troppo

fitto. Io son già cieco.

Ma qui vedo. Parlo.

Qui dialogo. Io

qui mi rispondo e ho il mio

interlocutore. Non voglio

murarlo nel silenzio sordo

d'un frastuono senz'ombra

d'anima. Di parole

senza più anima.

 

Foglie

Quanti se ne sono andati...

Quanti.

Che cosa resta.

Nemmeno

il soffio.

Nemmeno

il graffio di rancore o il morso

della presenza.

Tutti

se ne sono andati senza

lasciare traccia.

Come

non lascia traccia il vento

sul marmo dove passa.

Come

non lascia orma l'ombra

sul marciapiede.

Tutti

scomparsi in un polverio

confusi d'occhi.

Un brusio

di voci afone, quasi

di foglie controfiato

dietro i vetri.

Foglie

che solo il cuore vede

e cui la mente non crede.

 

L'occasione

L'occasione era bella.

Volli sperare anch'io.

Puntai in alto. Una stella

o l'occhio (il gelo) di Dio?

 

Biglietto lasciato prima di non andar via 

Se non dovessi tornare,

sappiate che non sono mai

partito.

Il mio viaggiare

È stato tutto un restare

qua, dove non fui mai.

 

Saggia apostrofe a tutti i caccianti

Fermi! Tanto

non farete mai centro.

La Bestia che cercate voi,

voi ci siete dentro.

 

photocredits: Dino Ignani

 

 

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