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Ugo Foscolo, le poesie più belle

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Ugo Foscolo, le poesie più belle

MILANO – Oggi il mondo delle lettere celebra l’anniversario della nascita del poeta e scrittore Ugo Foscolo (Zante, 6 febbraio 1778 – Londra, 10 settembre 1827), tra i massimi esponenti della letteratura italiana del neoclassicismo e del primo romanticismo. Ecco alcuni dei suoi sonetti più famosi.

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Autoritratto
Solcata ho fronte, occhi incavati intenti;
Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto;
Labbro tumido acceso, e tersi denti,
Capo chino, bel collo, e largo petto;

Giuste membra, vestir semplice eletto;
Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti,
Sobrio, umano, leal, prodigo, schietto;
Avverso al mondo, avversi a me gli eventi.

Talor di lingua, e spesso di man prode;
Mesto i più giorni e solo, ognor pensoso,
Pronto, iracondo, inquieto, tenace:

Di vizi ricco e di virtù, do lode
Alla ragion, ma corro ove al cor piace:
Morte sol mi darà fama e riposo.
 .

 
In morte del fratello Giovanni
Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentil anni caduto.

La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.

Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch'io nel tuo porto quiete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.

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Alla sera
Forse perché della fatal quiete
tu sei l'immago, a me si cara vieni,
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all'universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.

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 .
A Zacinto
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

 

 .
Alla Musa
Pur tu copia versavi alma di canto
su le mie labbra un tempo, Aonia Diva,
quando dè miei fiorenti anni fuggiva
la stagion prima, e dietro erale intanto

questa, che meco per la via del pianto
scende di Lete ver la muta riva:
non udito or t'invoco; ohimè! Soltanto
una favilla del tuo spirto è viva.

E tu fuggisti in compagnia dell'ore,
o Dea! Tu pur mi lasci alle pensose
membranze, e del futuro al timor cieco.

Però mi accorgo, e mel ridice amore,
che mal ponno sfogar rade, operose
rime il dolor che deve albergar meco.

 

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Sanremo, le 10 canzoni più poetiche della storia del Festival

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sanremo 10

MILANO - Parte oggi la 67° edizione di Sanremo, il Festival della canzone italiana. Un Festival storico che ha visto salire sul suo palco alcuni dei più amati artisti italiani. Da Luigi Tenco a Lucio Dalla, da Mia Martini a Vasco Rossi, gli autori che hanno partecipato al concorso hanno saputo fare breccia nei cuori delle persone, con canzoni che in molti casi possono essere considerate poesie. Abbiamo chiesto in un sondaggio quali sono le canzoni che hanno partecipato a Sanremo che possiamo considerare poesia. Ecco i 10 brani più citati.

 

"Ciao amore, ciao" di Luigi Tenco (Sanremo 1967)

"Ciao amore, ciao" è una canzone scritta dal cantautore italiano Luigi Tenco ed interpretata (in versioni separate) dallo stesso Tenco e da Dalida al Festival di Sanremo del 1967. Il 27 gennaio 1967, dopo l'esclusione del brano dalla finale del Festival, Tenco si è suicidato. "Ciao amore, ciao" è una canzone d'amore che non si esime dalla critica sociale. Protagonista è una persona che, stanca della vita di campagna, parte per la città nel tentativo di realizzare i propri sogni.

LEGGI ANCHE: Perché “Mi sono innamorato di te” di Luigi Tenco è da considerarsi poesia

 

"4 marzo 1943" di Lucio Dalla (Sanremo 1971)

Scritto da Paola Pallottino e Lucio Dalla, "4 marzo 1943" è una canzone presentata a Sanremo nel 1971, dove raggiunge la terza posizione. La canzone racconta la storia di una ragazza madre che ha un figlio con un soldato alleato, morto poco dopo il concepimento, "Così lei restò sola nella stanza, la stanza sul porto, con l'unico vestito ogni giorno più corto..."

 

"Vita spericolata" di Vasco Rossi (Sanremo 1983)

Classificatasi al penultimo posto nell'edizione del 1983 di Sanremo, "Vita spericolata" è una delle canzone più note e amate di Vasco Rossi. “Avevo tutti gli Anni Settanta alle spalle" ha detto Vasco Rossi raccontando la genesi della canzone in una vecchia intervista rilasciata a "La Stampa", "quando la maggioranza voleva fare la rivoluzione ma con il lavoro in banca. Io no, ho avuto la possibilità e ho detto di no alla banca [...] Una vita non garantita, non con il lavoro sicuro come si aveva allora..". Una canzone che ha segnato diverse generazioni, che dopo averla ascoltata hanno deciso dire rendere "spericolata" la loro vita, "una vita come quella dei film".

 

"Perdere l'amore" di Massimo Ranieri (Sanremo 1988)

Scritta da Marcello Marrocchi e Giampiero Artegiani, "Perdere l'amore" ha vinto il Festival di Sanremo 1988. Il brano racconta la drammatica situazione di un uomo di mezza età che viene abbandonato dalla donna che ama. In preda a una sofferenza intensa e violenta, si chiede chi è, perché esiste e cosa farà dei giorni che gli rimangono da vivere. "E adesso che rimane di tutto il tempo insieme? Un uomo troppo solo che ancora ti vuole bene..."

 

"Almeno tu nell'universo" di Mia Martini (Sanremo 1989)

Scritta da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio nel 1972, rimase inedita finché non la incise Mia Martini per portarla nel 1989 a Sanremo, dove ha ottenuto il Premio della Critica. "Almeno tu nell'universo" è una lettera d'amore rivolta a un destinatario non meglio precisato, in cui vengono denunciati alcuni aspetti negativi della società. Sotto accusa principalmente è l'incoerenza della gente, incapace di interessarsi delle persone che hanno attorno, e l'ipocrisia. "Sai- canta Mia Martini - la gente è strana prima si odia e poi si ama. Cambia idea improvvisamente, prima la verità poi mentirà lui senza serietà come fosse niente..."

 

"Vorrei incontrarti tra cent'anni" di Ron (Sanremo 1996)

Scritto e interpretato da Ron, "Vorrei incontrarti tra cent'anni" ha vinto l'edizione del 1996 di Sanremo. Questo brano è una dichiarazione d'amore eterno, capace di superare perfino il mostro del tempo. Racconta la passione degli innamorati, che per stare assieme sono disposti a sopportare ogni male. Vorrei incontrarti fra cent’anni, una grande poesia d'amore: "Tu pensa al mondo fra cent’anni / Ritroverò i tuoi occhi neri / Tra milioni di occhi neri / Saran belli più di ieri / Vorrei incontrarti fra cent’anni / Rosa rossa tra le mie mani / Dolce profumo nelle notti / Abbracciata al mio cuscino / Starò sveglio per guardarti / Nella luce del mattino..."

 

"Angelo" di Francesco Renga (Sanremo 2005)

Scritta e interpretata da Francesco Renga, la canzone ha vinto Sanremo nel 2005. Il brano è dedicato a Jolanda, la figlia che il cantante ha avuto con Ambra Angiolini. Qui Renga prega una figura celeste perché assista la sua bambina, lei che è ancora così ingenua e pura perché non conosce ancora i mali del mondo. "Angelo, prenditi cura di lei / Lei non sa vedere al di la di quello che da / E l'ingenuità è parte di lei..."

 

"Ti regalerò una rosa" di Simone Cristicchi (Sanremo 2007)

Con "Ti regalerò una rosa", Simone Cristicchi ha vinto Sanremo nel 2007. Il brano è una lettera che Antonio (affetto da problemi psichiatrici) scrive alla sua amata Margherita dal buio manicomio in cui è rinchiuso, luogo che in passato ha ospitato anche lei. Ma anche in questo ambiente così arido - come da un terreno morto sa nascere una rosa - nasce un amore. Ed è proprio l'amore ad aver fatto sentire vivo Antonio. "Dei miei ricordi sarai l'ultimo a sfumare / Eri come un angelo legato ad un termosifone / Nonostante tutto io ti aspetto ancora / E se chiudo gli occhi sento la tua mano che mi sfiora..."

 

"Chiamami ancora amore" di Roberto Vecchioni (Sanremo 2011)

Scritto e interpretato da Roberto Vecchioni, "Chiamami ancora amore" ha vinto Sanremo nel 2011. In un'intervista rilasciata a "Il Sole 24 Ore", Roberto Vecchio ha detto che si tratta di "un tipo di brano che io classifico tra quelli all'italiana: grande sentimento, grande forza di inciso che dovrebbe prendere le emozioni di tutti e sotto un messaggio che sia trasversale, ma di valori. Non parlerò di me, o solo larvatamente. È una canzone molto attuale che parla di cose di oggi, di situazioni di oggi e soprattutto di speranza. Questo sì. Speranza". Ed è vero, di speranza è ricca la canzone: "chiamami sempre amore che questa maledetta notte dovrà pur finire perché la riempiremo noi da qui di musica e di parole..."

 

"L'essenziale" di Marco Mengoni (Sanremo 2013)

Scritto da Roberto Casalino e Francesco De Benedittis, Mengoni con "L'essenziale" ha vinto Sanremo nel 2013. Come anticipa il titolo, il brano cerca di mettere in luce ciò che è veramente importante nella nostra vita. In un mondo che sembra cadere a pezzi, canta Mengoni, l'unica speranza sta nel trovare lo spazio per l'amore. "Mentre il mondo cade a pezzi / Mi allontano dagli eccessi e dalle cattive abitudini / Torneró all’origine / Torno a te, che sei per me l’essenziale..."

 

 

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Giuseppe Ungaretti, le poesie più belle

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Giuseppe Ungaretti, poesie

MILANO - L'8 febbraio 1888 nasceva Giuseppe Ungaretti, uno dei massimi poeti del Novecento italiani e una delle voci più struggenti della poesia di guerra di tutti i tempi. Per ricordare la ricorrenza, ecco una selezione dei suoi versi più conosciuti e più toccanti.

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VEGLIA

Un'intera nottata

buttato vicino

a un compagno

massacrato

con la sua bocca

digrignata

volta al plenilunio,

con la congestione

delle sue mani

penetrata

nel mio silenzio

ho scritto

lettere piene d'amore.

Non sono mai stato

tanto

attaccato alla vita.

.

..

FRATELLI

Di che reggimento siete

fratelli?

Parola tremante

nella notte.

Foglia appena nata.

Nell'aria spasimante

involontaria rivolta

dell'uomo presente alla sua

fragilità.

Fratelli.

.

SAN MARTINO DEL CARSO

Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro.

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto

neppure tanto.

Ma nel cuore

nessuna croce manca.

È il mio cuore

il paese più straziato.

.

MATTINA

M'illumino

d'immenso.

.

.
SOLDATI

Si sta come

d'autunno

sugli alberi

le foglie.

 

AGONIA

Morire come le allodole assetate

sul miraggio.

O come la quaglia

passato il mare

nei primi cespugli

perché di volare

non ha più voglia

Ma non vivere di lamento

come un cardellino accecato.

.

NATALE

Non ho voglia

di tuffarmi

in un gomitolo

di strade.

Ho tanta

stanchezza

sulle spalle.

Lasciatemi cosi

come una

cosa

posata

in un

angolo

e dimenticata.

Qui

non si sente

altro

che il caldo buono.

Sto

con le quattro

capriole

di fumo

del focolare.

 

 

 

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Bertolt Brecht, le poesie più belle

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MILANO - Oggi il mondo delle lettere celebra l'anniversario di nascita di uno dei personaggi più grandi e influenti di tutto il novecento: Bertolt Brecht, poeta, drammaturgo e regista tedesco.  Tra le sue opere più importanti, ricordiamo sicuramente “Tamburi nella notte” e “Opera da tre soldi”, ma sono davvero tanti i successi di Bertolt Brecht.  E’ autore, infatti,  di numerose poesie che possono considerarsi tra le più toccanti della lirica tedesca novecentesca. La sua scrittura poetica è diretta, vuole essere utile, non ci porta in nessun mondo fantastico o enigmatico. In occasione dell'anniversario della nascita dell'autore, vi proponiamo le poesie più belle.

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Piaceri 

Il primo sguardo dalla finestra al mattino
il vecchio libro ritrovato
volti entusiasti
neve, il mutare delle stagioni
il giornale
il cane
la dialettica
fare la doccia, nuotare
musica antica
scarpe comode
capire
musica moderna
scrivere, piantare
viaggiare
cantare
essere gentili.

.

La guerra che verrà

Non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell'ultima
c'erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente egualmente.

.

Luci e ombre 

Gli uni stanno nell’ombra
Gli altri nella luce
E si vedono coloro che stanno nella luce
E coloro che stanno nell’ombra
Non si vedono

 .

Elogio della dimenticanza

Buona cosa è la dimenticanza!
Altrimenti come farebbe
Il figlio ad allontanarsi dalla madre che lo ha allattato?
Chi gli ha dato la forza delle membra
E lo trattiene per metterle alla prova?

Oppure come farebbe l’allievo ad abbandonare il maestro
Che gli ha dato il sapere?
Quanto il sapere ...

.

Il rogo dei libri 

Quando il regime ordinò che in pubblico fossero arsi
i libri di contenuto malefico e per ogni dove
furono i buoi costretti a trascinare
ai roghi carri di libri, un poeta scoprì
- uno di quelli al bando, uno dei meglio – l’elenco
studiando degli inceneriti, sgomento, che i suoi
libri erano stati dimenticati. Corse
al suo scrittoio, alato d’ira
e scrisse ai potenti una lettera.
Bruciatemi!, scrisse di volo, bruciatemi!
Questo torto non fatemelo! Non lasciatemi fuori! Che forse
la verità non l’ho sempre, nei libri miei, dichiarata? E ora voi
mi trattate come fossi un mentitore! Vi comando:
bruciatemi!

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Sylvia Plath, le poesie più famose

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Sylvia Plath, le poesie più famose

MILANO - Sylvia Plath è stata l'autrice che più ha contribuito allo sviluppo del genere della poesia confessionale, iniziato da Robert Lowell e William De Witt Snodgrass. Nei versi di "Lady Lazarus", poesia contenuta nella raccolta postuma Ariel, la poetessa americana sembrava addirittura già preannunciare la sua morte. Oggi ricorre l'anniversario della scomparsa. Per ricordarla abbiamo selezionato alcune delle sue poesie più famose ed emozionanti.

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Io sono verticale (1961) 

Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un'aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell'uno la lunga vita, dell'altra mi manca l'audacia.

Stasera, all'infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo piu' perfetto -
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me piu' naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.

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Limite (Febbraio 1963, scritta poco prima di morire) 

La donna ora è perfetta
Il suo corpo
morto ha il sorriso della compiutezza,
l'illusione di una necessità greca
fluisce nei volumi della sua toga,
i suoi piedi
nudi sembrano dire:
Siamo arrivati fin qui, è finita.
I bambini morti si sono acciambellati,
ciascuno, bianco serpente,
presso la sua piccola brocca di latte, ora vuota.
Lei li ha raccolti
di nuovo nel suo corpo come i petali
di una rosa si chiudono quando il giardino
s'irrigidisce e sanguinano i profumi
dalle dolci gole profonde del fiore notturno.
La luna, spettatrice nel suo cappuccio d'osso,
non ha motivo di essere triste.
E' abituata a queste cose.
I suoi neri crepitano e tirano.

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Monologo delle 3 del mattino

È meglio che ogni fibra si spezzi
e vinca la furia,
e il sangue vivo inzuppi
divano, tappeto, pavimento
e l’almanacco decorato con serpenti
testimone che tu sei
a un milione di verdi contee da qui,
che sedere muti, con questi spasmi
sotto stelle pungenti,
maledicendo, l’occhio sbarrato
annerendo il momento
che gli addii vennero detti, e si lasciarono partire i treni,
ed io, gran magnanimo imbecille, così strappato
dal mio solo regno.

.

Papaveri a luglio 

Piccoli papaveri, piccole fiamme d’inferno,
Non fate male?
Guizzate qua e là. Non vi posso toccare.
Metto le mani tra le fiamme. Ma non bruciano.
E mi estenua il guardarvi così guizzanti,
Rosso grinzoso e vivo, come la pelle di una bocca.
Una bocca da poco insanguinata.
Piccole maledette gonne!
Ci sono fumi che non posso toccare.
Dove sono le vostre schifose capsule oppiate?
Ah se potessi sanguinare, o dormire! –
Potesse la mia bocca sposarsi a una ferità così!
O a me in questa capsula di vetro filtrasse il vostro liquore,
Stordente e riposante. Ma senza, senza colore.

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Ariel 

Stasi nel buio. Poi
l’insostanziale azzurro
versarsi di vette e distanze.
Leonessa di Dio,
come in una ci evolviamo,
perno di calcagni e ginocchi! –
La ruga
s’incide e si cancella, sorella
al bruno arco
del collo che non posso serrare,
bacche
occhiodimoro oscuri
lanciano ami –
Boccate di un nero dolce sangue,
ombre.
Qualcos’altro
mi tira su nell’aria –
cosce, capelli;
dai miei calcagni si squama.
Bianca
godiva, mi spoglio –
morte mani, morte stringenze.
E adesso io
spumeggio al grano, scintillio di mari.
Il pianto del bambino
nel muro si liquefà.
E io
sono la freccia,
la rugiada che vola
suicida, in una con la spinta
dentro il rosso
occhio cratere del mattino.

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“Lettera d’amore” di Sylvia Plath

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"Lettera d'amore" di Sylvia Plath

MILANO -  Sylvia Plath (Boston, 27 ottobre 1932 – Londra, 11 febbraio 1963) è stata una poetessa e scrittrice statunitense. Assieme ad Anne Sexton, la Plath è stata l'autrice che più ha contribuito allo sviluppo del genere della poesia confessionale, un genere di poesia sviluppatosi negli Stati Uniti negli anni Cinquanta e Sessanta in cui gli scrittori raccontano le proprie esperienze personali e i loro turbamenti interiori. Autrice anche di vari racconti e di un unico dramma teatrale a tre voci, per lunghi periodi della sua vita ha tenuto un diario, di cui sono state pubblicate le numerose parti sopravvissute. Parti del diario sono invece state distrutte dall'ex-marito, il poeta laureato inglese Ted Hughes, da cui ebbe due figli, Frieda Rebecca e Nicholas. Morì suicida all'età di trent'anni. Ecco di seguito una delle sue poesie più belle.

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Lettera d'amore 

Non è facile dire il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
anche se, come una pietra, non me ne curavo
e me ne stavo dov'ero per abitudine.
Tu non ti limitasti a spingermi un po' col piede, no-
e lasciare che rivolgessi il mio piccolo occhio nudo
di nuovo verso il cielo, senza speranza, è ovvio,
di comprendere l'azzurro, o le stelle.
Non fu questo. Diciamo che ho dormito: un serpente
mascherato da sasso nero tra i sassi neri
nel bianco iato dell'inverno-
come i miei vicini, senza trarre alcun piacere
dai milioni di guance perfettamente cesellate
che si posavano a ogni istante per sciogliere
la mia guancia di basalto. Si mutavano in lacrime,
angeli piangenti su nature spente,
Ma non mi convincevano. Quelle lacrime gelavano.
Ogni testa morta aveva una visiera di ghiaccio.
E io continuavo a dormire come un dito ripiegato.
La prima cosa che vidi fu l'aria, aria trasparente,
e le gocce prigioniere che si levavano in rugiada
limpide come spiriti. Tutt'intorno giacevano molte
pietre stolide e inespressive,
Io guardavo e non capivo.
Con un brillio di scaglie di mica, mi svolsi
per riversarmi fuori come un liquido
tra le zampe d'uccello e gli steli delle piante
Non m'ingannai. Ti riconobbi all'istante.
Albero e pietra scintillavano, senz’ombra.
La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.
Cominciai a germogliare come un rametto di marzo:
un braccio e una gamba, un braccio, una gamba.
Da pietra a nuvola, e così salii in lato.
Ora assomiglio a una specie di dio
e fluttuo per l’aria nella mia veste d'anima
pura come una lastra di ghiaccio. E' un dono.

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LEGGI ANCHE: SYLVIA PLATH, LE POESIE PIU' FAMOSE 

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San Valentino, le 10 poesie più belle da dedicare a chi si ama

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MILANO - Scrittori e poeti, di tutte le epoche e tutte le provenienze, hanno sempre sentito il bisogno di parlare d’amore. Dell’amore che sconvolge la vita, che la rende migliore oppure peggiore. Dell’amore felice, che è quello corrisposto, o di quello crudele, che ha il viso impassibile e altero di una donna desiderata ma lontana come la luna. Mai una parola ha racchiuso in sé così tante sfaccettature. Nel giorno di San Valentino vi proponiamo 10 poesie “d’autore” sul tema. Dieci modi di guardare a questo sentimento, 10 versioni di una medaglia che ha molte facce e non solo le canoniche due.

 

Ho sceso, dandoti il braccio... -  Eugenio Montale
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
Le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
Non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

 

Noi saremo - Verlaine
Nell’amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera.
 

Tu… Anima mia - Saffo
Rapita
nello specchio dei tuoi occhi
respiro
il tuo respiro.
E vivo...
T’amo senza sapere come… - Pablo Neruda
T'amo senza sapere come, né quando né da dove,
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti
che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.
 

Il più bello dei mari - Nazim Hikmet
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
 

Paris at night – Jacques Prévert
Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L'ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo fra le braccia.
Amore non è amore se muta... - William Shakespeare
Amore non è amore se muta
quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l'altro s'allontana.
Oh no!
Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta
e non vacilla mai;
Amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio;
se questo è errore
e mi sarà provato,
io non ho mai scritto,
e nessuno ha mai amato.

Ti adoro – Charles Baudelaire
T’adoro al pari della volta notturna,
o vaso si tristezza, o grande taciturna!
E tanto più t’amo quanto più mi sfuggi,
o bella, e sembri, ornamento delle mie notti,
ironicamente accumulare la distanza
che separa le mie braccia dalle azzurrità infinite.
Mi porto all’attacco, m’arrampico all’assalto
Come fa una fila di vermi presso un cadavere e amo,
fiera implacabile e crudele, sino la freddezza
che ti fa più bella ai miei occhi.

Alla tua salute amore mio – Alda Merini
Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all'alba
se io sarò tra le tue braccia.
 
Per un istante d’estasi – Emily Dickinson
Per un istante d'estasi
Noi paghiamo in angoscia
Una misura esatta e trepidante,
Proporzionata all'estasi.
Per un'ora diletta
Compensi amari d'anni,
Centesimi strappati con dolore,
Scrigni pieni di lacrime

 

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‘A livella, la poesia più amata di Totò

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'A livella, la poesia più amata di Totò

MILANO - Ricorre oggi l'anniversario di nascita di Totò (Napoli, 15 febbraio 1898 – Roma, 15 aprile 1967), pseudonimo di Antonio de Curtis, grande artista e simbolo della comicità italiana. Per ricordarlo vi proponiamo la sua poesia più amata, 'A livella, composta nel 1964 e formata 104 versi, tutti endecasillabi in rime alternate, ripartiti in ventisei strofe. In questo componimento il comico napoletano affronta ironicamente il tema della morte, ricordando che di fronte a quell'ultimo passo siamo tutti uguali. In fondo riportiamo un video in cui Totò stesso recita la poesia.

 

"Ogn'anno,il due novembre, c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado,e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.

St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! si ce penzo,e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto,statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io,tomo tomo,stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele,cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata,senza manco un fiore;
pe' segno,sulamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola,che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura...nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto,che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje:stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato...dormo,o è fantasia?

Ate che fantasia;era 'o Marchese:
c'o' tubbo,'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello...'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?

Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo..calmo calmo,
dicette a don Gennaro:"Giovanotto!

Da Voi vorrei saper,vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir,per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va,si,rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava,si,inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo,quindi,che cerchiate un fosso
tra i vostri pari,tra la vostra gente"

"Signor Marchese,nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo,obbj'...'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".

"E cosa aspetti,oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"

"Famme vedé..-piglia sta violenza...
'A verità,Marché,mme so' scucciato
'e te senti;e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...

Ma chi te cride d'essere...nu ddio?
Ccà dinto,'o vvuo capi,ca simmo eguale?...
...Muorto si'tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".

"Lurido porco!...Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri,nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".

"Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania!!!
T''o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervella
che staje malato ancora e' fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.

'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?

Perciò,stamme a ssenti...nun fa''o restivo,
suppuorteme vicino-che te 'mporta?

Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"

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Giosuè Carducci, le poesie più belle

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Giosuè Carducci, le poesie più belle

MILANO – In occasione dell’anniversario della scomparsa di Giosuè Carducci, ecco una selezione dei suoi versi più importanti e famosi. Cantore dell’amor di patria e della bellezza della natura, è stato il primo italiano a ricevere il Premio Nobel per la letteratura. Lo ricordiamo con una selezione delle sue poesie.

Clicca qui per leggere e condividere gli aforismi dello scrittore ! 

 

SAN MARTINO

La nebbia agli irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
Urla e biancheggia il mar;

Ma per le vie del borgo
Dal ribollir de’ tini
Va l’aspro odor de i vini
L’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l’uscio a rimirar

Tra le rossastre nubi
Stormi d’uccelli neri,
Com’ esuli pensieri,
Nel vespero migrar.

.

 

NOSTALGIA

Là in Maremma ove fiorio
La mia triste primavera,
Là rivola il pensier mio
Con i tuoni e la bufera:
Là nel cielo librarmi
La mia patria a riguardar,
Poi co'l tuon vo' sprofondarmi
Tra quei colli ed in quel mar.

 

.

IDEALE

Poi che un sereno vapor d'ambrosia
da la tua coppa diffuso avvolsemi,
o Ebe con passo di dea
trasvolata sorridendo via;

non più del tempo l'ombra o de l'algide
cure su 'l capo mi sento; sentomi,
o Ebe, l'ellenica vita
tranquilla ne le vene fluire.

E i ruinati giù pe 'l declivio
de l'età mesta giorni risursero,
o Ebe, nel tuo dolce lume
agognanti di rinnovellare;

e i novelli anni da la caligine
volenterosi la fronte adergono,
o Ebe, al tuo raggio che sale
tremolando e roseo li saluta.

A gli uni e gli altri tu ridi, nitida
stella, da l'alto. Tale ne i gotici
delùbri, tra candide e nere
cuspidi rapide salïenti

con doppia al cielo fila marmorea,
sta su l'estremo pinnacol placida
la dolce fanciulla di Jesse
tutta avvolta di faville d'oro.

Le ville e il verde piano d'argentei
fiumi rigato contempla aerea,
le messi ondeggianti ne' campi,
le raggianti sopra l'alpe nevi:

a lei d'intorno le nubi volano;
fuor de le nubi ride ella fulgida
a l'albe di maggio fiorenti,
a gli occasi di novembre mesti.

.

 

LA MADRE

Lei certo l'alba che affretta rosea
al campo ancora grigio gli agricoli
mirava scalza co 'l piè ratto
passar tra i roridi odor del fieno.

Curva su i biondi solchi i larghi omeri
udivan gli olmi bianchi di polvere
lei stornellante su 'l meriggio
sfidar le rauche cicale a i poggi.

E quando alzava da l'opra il turgido
petto e la bruna faccia ed i riccioli
fulvi, i tuoi vespri, o Toscana,
coloraro ignei le balde forme.

Or forte madre palleggia il pargolo
forte; da i nudi seni già sazio
palleggialo alto, e ciancia dolce
con lui che a' lucidi occhi materni

intende gli occhi fissi ed il piccolo
corpo tremante d'inquïetudine
e le cercanti dita: ride
la madre e slanciasi tutta amore.

A lei d'intorno ride il domestico
lavor, le biade tremule accennano
dal colle verde, il büe mugghia,
su l'aia il florido gallo canta.

Natura a i forti che per lei spregiano
le care a i vulghi larve di gloria
così di sante visïoni
conforta l'anime, o Adrïano:

onde tu al marmo, severo artefice,
consegni un'alta speme de i secoli.
Quando il lavoro sarà lieto?
Quando securo sarà l'amore?

Quando una forte plebe di liberi
dirà guardando nel sole: 'Illumina
non ozi e guerre a i tiranni,
ma la giustizia pia del lavoro'?

.

 

IN RIVA AL MARE

Tirreno, anche il mio petto è un mar profondo,
E di tempeste, o grande, a te non cede:
L'anima mia rugge ne' flutti, e a tondo
Suoi brevi lidi e il picciol cielo fiede.

Tra le sucide schiume anche dal fondo
Stride la rena: e qua e là si vede
Qualche cetaceo stupido ed immondo
Boccheggiar ritto dietro immonde prede.

La ragion de le sue vedette algenti
Contempla e addita e conta ad una ad una
Onde belve ed arene invan furenti:

Come su questa solitaria duna
L'ire tue negre e gli autunnali venti
Inutil lampa illumina la luna.

.

 

VIRGILIO

Come, quando su' campi arsi la pia
Luna imminente il gelo estivo infonde,
Mormora al bianco lume il rio tra via
Riscintillando tra le brevi sponde;

E il secreto usignuolo entro le fronde
Empie il vasto seren di melodia,
Ascolta il viatore ed a le bionde
Chiome che amò ripensa, e il tempo oblia;

Ed orba madre, che doleasi in vano,
Da un avel gli occhi al ciel lucente gira
E in quel diffuso albor l'animo queta;

Ridono in tanto i monti e il mar lontano,
Tra i grandi arbor la fresca aura sospira:
Tale il tuo verso a me, divin poeta.

.

 

DAVANTI ALLE TERME DI CARACALLA

Corron tra 'l Celio fosche e l'Aventino
le nubi: il vento dal pian tristo move
umido: in fondo stanno i monti albani
bianchi di nevi.

A le cineree trecce alzato il velo
verde, nel libro una britanna cerca
queste minacce di romane mura
al cielo e al tempo.

Continui, densi, neri, crocidanti
versansi i corvi come fluttuando
contro i due muri ch'a più ardua sfida
levansi enormi.

'Vecchi giganti' par che insista irato
l'augure stormo 'a che tentate il cielo?'
Grave per l'aure vien da Laterano
suon di campane.

Ed un ciociaro, nel mantello avvolto,
grave fischiando tra la folta barba,
passa e non guarda. Febbre, io qui t'invoco,
nume presente.

Se ti fur cari i grandi occhi piangenti
e de le madri le protese braccia
te deprecanti, o dea, da 'l reclinato
capo de i figli:

se ti fu cara su 'l Palazio eccelso
l'ara vetusta (ancor lambiva il Tebro
l'evandrio colle, e veleggiando a sera
tra 'l Campidoglio

e l'Aventino il reduce quirite
guardava in alto la città quadrata
dal sole arrisa, e mormorava un lento
saturnio carme);

febbre, m'ascolta. Gli uomini novelli
quinci respingi e lor picciole cose:
religïoso è questo orror: la dea
Roma qui dorme.

Poggiata il capo al Palatino augusto,
tra 'l Celio aperte e l'Aventin le braccia,
per la Capena i forti omeri stende
a l'Appia via.

.

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Giornata Mondiale del Gatto, ecco le 10 poesie più belle dedicate ai mici

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MILANO – Il gatto ha da sempre avuto influenze equivoche sull’animo umano: un animale affettuoso eppure indipendente, capace di infondere a amore e compagnia, ma spesso distaccato e opportunista. Questa sua enigmatica ambivalenza lo ha reso protagonista delle poesie di molti dei più grandi poeti della letteratura mondiale, a evidenziare l’universalità di questo particolare tema letterario.

In occasione della Giornata Mondiale del Gatto, ecco le dieci poesie più belle dedicate ai mici.

Il gatto - Charles Baudelaire
Vieni bel gatto, vieni sul mio cuore amoroso;
trattieni i tuoi artigli
ch'io mi sprofondi dentro i tuoi begli occhi d'agata e metallo.
Quando a bell'agio le mie dita a lungo
ti carezzan la testa e il dorso elastico,
e gode la mia mano ebbra al toccare il tuo corpo elettrico,
vedo in spirito la mia donna:
profondo e freddo come il tuo, il suo sguardo, bestia amabile,
penetra tagliente come fosse una freccia,
e dai piedi alla testa
una sottile aria, rischioso effluvio,
tutt'intorno gira al suo corpo bruno.

La gatta - Umberto Saba
La tua gattina è diventata magra.
Altro male non è il suo che d'amore:
male che alle tue cure la consacra.
Non provi un'accorata tenerezza?
Non la senti vibrare come un cuore
sotto alla tua carezza?
Ai miei occhi è perfetta
come te questa tua selvaggia gatta,
ma come te ragazza
e innamorata, che sempre cercavi,
che senza pace qua e là t'aggiravi,
che tutti dicevano :'È pazza'.
È come te ragazza.

Donne e gatti - Paul Verlaine
Lei giocava con la sua gatta
E che meraviglia era vedere
La bianca mano e la bianca zampa
Trastullarsi nell'ombra della sera!
Lei nascondeva - la scellerata -
Sotto i guanti di filo nero
Le micidiali unghie d'agata
Taglienti e chiare come un rasoio.
Anche l'altra faceva la smorfiosa
E ritraeva i suoi artigli d'acciaio,
Ma il diavolo non ci perdeva nulla
E nel boudoir, in cui tintinnava, aereo,
Il suo riso, scintillavano quattro punti fosforescenti.

Al gatto di donna Reynolds - John Keats
Gatto, che la tua età matura hai superato,
quanti sorcetti e ratti hai sterminato nei tuoi bei giorni?
E quanti, con guardo fisso di accesi e verdi anelli
pungenti e morbidi, ed unghie che germoglian dal velluto,
celati artigli che ti pregano me di non ferire,
n'hai carpiti, bocconcini d'uccello?
Ora, rinforza il miagolar grazioso, e narra
le tue zuffe con pesci, sorci e teneri pulcini, di cui,
dalle tue fusa, dal guardar basso e leccarti le zampe,
oggi non vedo traccia; e per quanto la serva
a pugna e mazza assai ti percotè, lucida è la pelliccia
come quando, in giovinezza, nella lizza tu entrasti,
sopra un muro di vetri di bottiglia.

Il gatto - Guillaume Apollinaire
Io mi auguro di avere in casa mia:
una donna provvista di prudenza,
un gatto a passeggio fra i libri,
e in tutte le stagioni amici
di cui non posso far senza.

Gatto che giochi per via - Fernando Pessoa
Gatto che giochi per via
come se fosse il tuo letto,
invidio la sorte che è tua,
ché neppur sorte si chiama.
Buon servo di leggi fatali
che reggono i sassi e le genti,
hai istinti generali,
senti solo quel che senti;
sei felice perché sei come sei,
il tuo nulla è tutto tuo.
Io mi vedo e non mi ho,
mi conosco, e non sono io.

Il nome dei gatti - Thomas Stearns Eliot
Mettere un nome ai gatti è un'impresa difficile,
Non un gioco dei tanti che fate nei giorni di festa;
Potreste dapprima anche pensare che io sia matto da legare
Quando vi dico che un gatto deve avere TRE NOMI DIVERSI.
Prima di tutto, c'è il nome che la famiglia usa ogni giorno,
Come Pietro, Augusto, Alonzo o Giacomo,
Come Vittorio o Gionata, Giorgio o Bill Baley -
Tutti nomi sensati da usare ogni giorno.
Ma se pensate che vi suonino meglio ci sono nomi più fantasiosi,
Alcuni per i signori, altri per le dame:
Come Platone, Admeto, Elettra o Demetrio -
Sempre nomi sensati da usare ogni giorno.
Ma io vi dico che un gatto ha bisogno di un nome che sia particolare,
Caratteristico, insomma, e molto più dignitoso,
Come potrebbe altrimenti tenere la coda diritta,
O mettere in mostra i baffi, o sentirsi orgoglioso?
Nomi di questo tipo posso inventarne mille,
Come Munkustrap, Quaxo o Coricopat,
Come Bombalurina o Jellylorum -
Nomi che non appartengono mai a più di un gatto alla volta.
Ma oltre a questi c'è ancora un nome che manca,
Nome che non potrete mai indovinare;
Nome che nessuna ricerca umana potrà mai scovare -
Ma il GATTO LO SA, anche se mai vorrà confidarlo.
Quando vedete un gatto in profonda meditazione,
La ragione, io vi dico, è sempre la stessa:
La sua mente è perduta in estatica contemplazione
Del pensiero, del pensiero, del pensiero del suo nome:
Del suo ineffabile effabile
Effineffabile
Profondo e inscrutabile unico Nome.

Beppo - Jorge Luis Borges
Il gatto bianco e celibe si guarda
Nella lucida lastra dello specchio
E sapere non può che quel candore
E le pupille d'oro non vedute
Mai nella casa sono la sua immagine.
Chi gli dirà che l'altro che l'osserva
E' solamente un sogno dello specchio?
Penso che questi armoniosi gatti
Quello di vetro e quello a sangue caldo
Sono fantasmi che regala al tempo
Un archetipo eterno...

Un gatto - Pablo Neruda
Come dorme bene un gatto
dorme con zampe e di peso,
dorme con unghie crudeli,
dorme con sangue sanguinario,
dorme con tutti gli anelli
che come circoli incendiati
costruirono la geologia
d'una corda color di sabbia.
Vorrei dormire come un gatto
con tutti i peli del tempo,
con la lingua di pietra focaia,
con il sesso secco del fuoco
e, non parlando con nessuno,
stendermi sopra tutto il mondo,
sopra le tegole e la terra,
intensamente consacrato
a cacciare i topi del sogno.
Ho veduto come vibrava
il gatto nel sonno:
correva la notte in lui come acqua oscura,
e a volte pareva cadere
o magari precipitare
nei desolati ghiacciai,
forse crebbe tanto nel sonno
come un antenato di tigre
e avrebbe saltato nel buio
tetti, nuvole e vulcani.
Dormi, dormi, gatto notturno
con i tuoi riti di vescovo,
e i tuoi baffi di pietra:
ordina tutti i nostri sogni,
guida le tenebre delle nostre
addormentate prodezze
con il tuo cuore sanguinario
e il lungo collo della tua coda.

Il giornale dei gatti - Gianni Rodari
I gatti hanno un giornale
con tutte le novità
e sull'ultima pagina
la 'Piccola Pubblicità'.
'Cercasi casa comoda
con poltrone fuori moda:
non si accettano bambini
perchè tirano la coda'.
'Cerco vecchia signora
a scopo compagnia.
Precisare referenze
e conto in macelleria'.
'Premiato cacciatore
cerca impiego in granaio.'
'Vegetariano, scapolo,
cerca ricco lattaio'.
I gatti senza casa
la domenica dopo pranzo
leggono questi avvisi
più belli di un romanzo:
per un'oretta o due
sognano ad occhi aperti,
poi vanno a prepararsi
per i loro concerti.

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Accadde oggi – 23 febbraio. Ricorre l’anniversario della scomparsa di John Keats

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Accadde oggi - 23 febbraio. Ricorre l'anniversario della scomparsa di John Keats

 MILANO – Il mondo delle lettere celebra oggi l’anniversario di morte del poeta inglese John Keats, considerato figura di primo piano del movimento romantico, grazie soprattutto alla forza della sua poesia, stilisticamente perfetta e dal grande potere evocativo.

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LA VITA – John Keats nacque a Londra nel 1795. Dell'infanzia del poeta si sa ben poco. E’ ricordato come un tipo emotivo e rissoso, geloso della madre e protettivo verso il fratellino Tom. Nel 1803 John si iscrisse, insieme al fratello George, alla scuola del reverendo Clarke, a Enfield. Fu proprio il figlio di Clarke, Charles, il primo 'maestro' di Keats nella scoperta della letteratura. Dopo la morte del padre i fratelli Keats furono mandati a vivere presso i nonni materni ma, dopo la morte del nonno, la moglie nominò tutore dei bambini Richard Abbey, che amministrerà in modo disonesto tutto il loro patrimonio, affossando le finanze dei fratelli. Il primo a pagarne le conseguenze fu John, costretto a vivere in ristrettezze economiche per tutta la vita.

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L’APPROCCIO ALLA POESIA - Nel 1811 John iniziò i suoi studi come apprendista medico e farmacista, per poi entrare nel 1815 come studente in medicina al Guy's Hospital, nella periferia di Londra. Fu proprio nel periodo degli studi al Guy's Hospital che John, già lettore abituale del periodico 'Examiner'  cominciò a scrivere i suoi primi versi. Affrontò gli studi con successo e apparve da subito avviato ad una buona carriera, ma la letteratura continuava a prendere sempre più piede nella sua vita. Nel maggio del 1816 sull' 'Examiner' comparve la sua prima poesia, il sonetto 'O Solitude'. Successivamente scrisse 'On First Looking into Chapman's Homer'. Agli inizi del 1817 si recò a vedere i marmi del Partenone esposti al British Museum. La vista di queste opere di classica perfezione destò grande impressione in lui, tanto che queste divennero ben presto le protagoniste della sua poesia, una su tette l' 'Ode su un'Urna Greca'.

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LE GRANDI OPERE E GLI ULTIMI ANNI DI VITA - Nel marzo uscì la prima raccolta poetica di Keats, 'Poems', e fu il fatto che portò Keats a dedicare la sua intera carriera alla poesia. Si trasferì poi con i fratelli ad Hampstead, dove conobbe Fanny Brawne, l'amore della sua vita. Partì poi per una visita all'Isola di Wight, dove iniziò a scrivere l' 'Endimione', altro suo capolavoro. Le poesie di John Keats non furono tuttavia accolte con grande entusiasmo. Nonostante ciò, il poeta proseguì per la sua strada, scrivendo l''Iperone' e tutte le altre grandi odi che lo avrebbero fatto entrare nella storia, fra le quali 'To Psyche', 'On Melancholy', 'To a Nightingale' e 'To Autumn'. Vive un lungo e fecondo periodo creativo, coronato dal fidanzamento, questa volta ufficiale, con Fanny Brawne. Nel febbraio 1820 si manifestò il primo serio attacco del male che, ventiseienne, lo portò alla morte: la tubercolosi. Gli attacchi furono gravi e prolungati, tanto che in estate il medico gli ordinò di trasferirsi in Italia, sicuro che un clima più mite l'avrebbe aiutato. In novembre si stabilì quindi a Roma. Keats morì nel febbraio dell’anno successivo e venne sepolto nel Cimitero Protestante di Roma.

 

 

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John Keats, le poesie più belle

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In occasione dell’anniversario di morte di uno dei poeti inglesi più amati, abbiamo selezionato alcune delle sue poesie più belle

 MILANO – John Keats è oggi universalmente riconosciuto come il più grande poeta del romanticismo inglese. Nonostante il mancato successo presso i suoi contemporanei, la sua poetica ha influenzato molti scrittori e artisti, tra cui anche Jorge Louis Borges. Oggi, in occasione dell’anniversario della sua scomparsa, abbiamo selezionato 5 delle sue poesie più belle.

.
 
Senza di te
Non posso esistere senza di te.
Mi dimentico di tutto tranne che di rivederti:
la mia vita sembra che si arresti lì,
non vedo più avanti.
Mi hai assorbito.
In questo momento ho la sensazione
come di dissolvermi:
sarei estremamente triste
senza la speranza di rivederti presto.
Avrei paura a staccarmi da te.
Mi hai rapito via l'anima con un potere
cui non posso resistere;
eppure potei resistere finché non ti vidi;
e anche dopo averti veduta
mi sforzai spesso di ragionare
contro le ragioni del mio amore.
Ora non ne sono più capace.
Sarebbe una pena troppo grande.
Il mio amore è egoista.
Non posso respirare senza di te.

.

Fantasia
Lascia sempre vagare la fantasia,
È sempre altrove il piacere:
E si scioglie, solo a toccarlo, dolce,
Come le bolle quando la pioggia picchia;
Lasciala quindi vagare, lei, l’alata,
Per il pensiero che davanti ancor le si stende;
Spalanca la porta alla gabbia della mente,
E, vedrai, si lancerà volando verso il cielo.

Le stagioni umane
Quattro stagioni fanno intero l'anno,
quattro stagioni ha l'animo dell'uomo.
Egli ha la sua robusta Primavera
quando coglie l'ingenua fantasia
ad aprire di mano ogni bellezza;
ha la sua Estate quando ruminare
il boccone di miel primaverile
del giovine pensiero ama perduto
di voluttà, e così fantasticando,
quanto gli è dato approssimarsi al cielo;
e calmi ormeggi in rada ha nel suo Autunno
quando ripiega strettamente le ali
pago di star così a contemplare
oziando le nebbie, di lasciare
le cose belle inavvertite lungi
passare come sulla siglia un rivo.
Anche ha il suo Inverno di sfiguramento
pallido, sennò forza gli sarebbe
rinunciare alla sua mortal natura.

Lasciando alcuni amici di prima mattina
D'oro una penna datemi, e lasciate
che in limpidi e lontane regioni
sopra mucchi di fiori io mi distenda;
portatemi più bianca di una stella
o di una mano d'angelo inneggiante
quando fra corde argentee la vedi
di arpe celesti, un'asse per scrittoio;
e lasciate lì accanto correr molti
carri color di perla, vesti rosa,
e chiome a onda, e vasi di diamante,
e ali intraviste, e sguardi penetranti.
Lasciate intanto che la musica erri
ai miei orecchi d'intorno; e come quella
ogni cadenza deliziosa tocca,
lasciate che io scriva un verso pieno
di molte meraviglie delle sfere,
splendido al suono: con che altezze in gara
il mio spirito venne! Nè contento
è di restare così presto solo.

Che mi ami tu lo dici, ma con una voce
Che mi ami tu lo dici, ma con una voce
Più casta di quella d'una suora
Che per sé sola i dolci vespri canta,
Quando la campana risuona -
Su, amami davvero!

Che mi ami tu lo dici, ma con un sorriso
Freddo come un'alba di penitenza,
Suora crudele di San Cupido
Devota ai giorni d'astinenza -
Su, amami davvero!

Che mi ami tu lo dici, ma le tue labbra
Tinte di corallo insegnano meno gioia
Dei coralli del mare -
Mai che s'imbroncino di baci -
Su, amami davvero!

Che mi ami tu lo dici, ma la tua mano
Non stringe chi teneramente la stringe;
È morta come quella d'una statua
Mentre la mia brucia di passione -
Su, amami davvero!

Su, incendiamoci di parole
E bruciandomi sorridimi - stringimi
Come devono gli amanti - su, baciami,
E l'urna, poi, delle mie ceneri seppelliscila nel tuo cuore -
Su, amami davvero!

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Perché “I Walk The Line” di Johnny Cash è da considerarsi poesia

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Perché "I Walk The Line" di Johnny Cash è da considerarsi poesia

MILANO - In una numerosa famiglia di contadini dell'Arkansas, dedita alla coltivazione e alla raccolta del cotone, nasceva il 26 febbraio 1932 Johnny Cash. I suoi genitori e i suoi fratelli non lo sapevano, ma quel bambino sarebbe diventato nel giro di qualche anno la leggenda della musica country. Questo bambino forgia il suo carattere nella profonda America sudista. Da ragazzino lavora nei campi ma non è destinato a restarvi a lungo, perché la musica lo porterà lontano. Quella musica che scopre cantando in chiesa e poi alla radio, dove per la prima volta ascolta il Country. La prima chitarra la acquista in Germania, dove viene mandato per il servizio militare, e subito comincia a scrivere pezzi ispirati alla vita e al lavoro quotidiano. Dopo il congedo terminato il 3 luglio 1954, sposa Vivian, che ispirerà uno dei suoi più grandi successi, "I Walk the Line".

RIGO DRITTO - "I Walk the Line" è una delle canzoni più amate del cantautore americano. “Ho scritto questa canzone nel 1956 a Gladewater, nel Texas - ha raccontato Johnny Cash in una vecchia intervista - ai tempi mi ero sposato da poco, e immaginavo di raccontare la mia promessa di affetto". E in effetti è proprio una promessa, questa canzone, nata da un'attenta osservazione delle dinamiche del cuore. Una promessa fatta non tanto a una donna ma all'amore, al quale avrebbe dedicherà la vita. Un amore folle, straripante, che riesce a far rigare dritto - almeno per un po' - persino uno scavezzacollo come il giovane Johnny. Un amore onnipresente, che non lascia scampo, "sicuro come il fatto che la notte è scura ed il giorno è luminoso". Una passione forte, vorace, troppo forte per durare, come la giovinezza, bella e fugace.

LA SPINTA DELL'AMORE - L'amore che racconta Cash è l'amore bello: quello che è stimolo, gioia, energia. "Per te io so che proverei persino a superare la corrente", canta Johnny. Se proviamo a chiederci che cosa ci sia di poetico in questa canzone probabilmente arriveremmo tutti alla stessa conclusione: l'autenticità della voce dei più grandi poeti. D'altra parte Denis Diderot diceva che "la poesia deve avere in sé qualcosa che è barbaro, immenso e selvaggio", e credo proprio che in questa poesia ci sia tutto ciò.

 

 

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Lucio Dalla, le canzoni più belle

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Lucio Dalla, le canzoni più belle

MILANO - Molte delle sue canzoni entrate nella storia della musica italiana. Ha collaborato con artisti come Francesco De Gregori, Gianni Morandi, gli Stadio, Luciano Pavarotti e tantissimi altri. Lucio Dalla è considerato uno dei maggiori interpreti della canzone italiana, grande fonte d’ispirazione per gli artisti delle generazioni successive e sostenitore di un anticonformismo più sostanziale che formale. In occasione del suo anniversari odi morte, vi proponiamo alcune delle sue canzoni più belle.

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La casa in riva al mare

dalla sua cella lui vedeva solo il mare
ed una casa bianca in mezzo al blu
una donna si affacciava.... Maria
E' il nome che le dava lui
Alla mattina lei apriva la finestra
E lui pensava quella e' casa mia
Tu sarai la mia compagna Maria
Una speranza e una follia
E sogno' la liberta'
E sogno' di andare via, via
E un anello vide gia'
Sulla mano di maria
Lunghi i silenzi come sono lunghi gli anni
parole dolci che s'immagino'
questa sera vengo fuori maria
ti vengo a fare compagnia
E gli anni stan passando tutti gli anni insieme
ha gia' i capelli bianchi e non lo sa.
questa sera vengo fuori maria
vedrai che bella la citta'
e sogno' la liberta'........
e gli anni son passati tutti gli anni insieme
ed i suoi occhi ormai non vedon piu'
disse ancora la mia donna sei tu
e poi fu solo in mezo al blu'
Coro: vengo da te mari'

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Caruso

Qui dove il mare luccica,
e tira forte il vento
su una vecchia terrazza
davanti al golfo di Surriento
un uomo abbraccia una ragazza,
dopo che aveva pianto
poi si schiarisce la voce,
e ricomincia il canto.
Te voglio bene assaje,
ma tanto tanto bene sai
è una catena ormai,
che scioglie il sangue dint' 'e 'vvene sai.
[...]

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Com'è profondo il mare 

Siamo noi, siamo in tanti
Ci nascondiamo di notte
Per paura degli automobilisti
Dei linotipisti
Siamo gatti neri
Siamo pessimisti
Siamo i cattivi pensieri
Non abbiamo da mangiare
Com'è profondo il mare
Com'è profondo il mare
Babbo, che eri un gran cacciatore
Di quaglie e di fagiani
Caccia via queste mosche
Che non mi fanno dormire
Che mi fanno arrabbiare
Com'è profondo il mare
Com'è profondo il mare
E' inutile
Non c'è più lavoro
Non c'è più decoro
Dio o chi per lui
Sta cercando di dividerci
Di farci del male
Di farci annegare [...]

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Piazza Grande 

Santi che pagano il mio pranzo non ce n'è
sulle panchine in Piazza Grande,
ma quando ho fame di mercanti come me qui non ce n'è.
Dormo sull'erba e ho molti amici intorno a me,
gli innamorati in Piazza Grande,
dei loro guai dei loro amori tutto so, sbagliati e no.
A modo mio avrei bisogno di carezze anch'io.
A modo mio avrei bisogno di sognare anch'io.
Una famiglia vera e propria non ce l'ho
e la mia casa è Piazza Grande,
a chi mi crede prendo amore e amore do, quanto ne ho.
Con me di donne generose non ce n'è,
rubo l'amore in Piazza Grande,
e meno male che briganti come me qui non ce n'è.
A modo mio avrei bisogno di carezze anch'io.
Avrei bisogno di pregare Dio.
Ma la mia vita non la cambierò mai mai,
a modo mio quel che sono l'ho voluto io
Lenzuola bianche per coprirci non ne ho
sotto le stelle in Piazza Grande,
e se la vita non ha sogni io li ho e te li do.
E se non ci sarà più gente come me
voglio morire in Piazza Grande,
tra i gatti che non han padrone come me attorno a me

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L'anno che verrà

Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po'
e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò.
Da quando sei partito c'è una grossa novità,
l'anno vecchio è finito ormai
ma qualcosa ancora qui non va.

Si esce poco la sera compreso quando è festa
e c'è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra,
e si sta senza parlare per intere settimane,
e a quelli che hanno niente da dire
del tempo ne rimane.

Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
porterà una trasformazione
e tutti quanti stiamo già aspettando
sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno,
ogni Cristo scenderà dalla croce
anche gli uccelli faranno ritorno.

Ci sarà da mangiare e luce tutto l'anno,
anche i muti potranno parlare
mentre i sordi già lo fanno.

E si farà l'amore ognuno come gli va,
anche i preti potranno sposarsi
ma soltanto a una certa età,
e senza grandi disturbi qualcuno sparirà,
saranno forse i troppo furbi
e i cretini di ogni età.

[...]

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LEGGI ANCHE: LUCIO DALLA, I VERSI PIU' CELEBRI TRATTI DALLE SUE CANZONI 

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Perché “Caruso” di Lucio Dalla è da considerarsi poesia

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Perché "Caruso" di Lucio Dalla è da considerarsi poesia

MILANO - In una giornata di sole dei primi anni '80 Lucio Dalla sta per partire in barca per Capri ma rimane bloccato a Sorrento a causa di un guasto all'imbarcazione. In attesa di poter mettersi in mare alloggia all'Hotel Vittoria, nella suite "Caruso", dove il celebre tenore ha trascorso gli ultimi mesi della sua vita. Parlando col proprietario dell'albergo viene a conoscenza di storie e di parecchi aneddoti sulla vita di Enrico Caruso. Proprio in quella camera il tenore dava lezioni di canto a una giovane ragazza di cui si era innamorato. Affascinato dalla scoperta, Dalla decide di raccontare in una canzone questa storia, componendola sul pianoforte - ormai scordato - che suonava lo stesso Caruso.

L'INTIMITA' DI UNA POESIA - In questa canzone, uscita nel 1986, Lucio Dalla ci racconta una storia intima, fatta di passioni e malinconia, di amore e solitudine. "Qui dove il mare luccica e tira forte il vento su una vecchia terrazza davanti al golfo di Surriento", canta Lucio, che con poche e semplici parole riesce a trasportarci a Sorrento e a restituirci le suggestioni del luogo. Poi introduce il tema sentimentale, l'abbraccio tra l'uomo e la ragazza, e il canto di passione: "te voglio bene assaje ma tanto, tanto bene sai, è una catena ormai che scioglie il sangue dint'è vene, sai". Quello che canta Lucio è un amore diventato forte e resistente come una catena, una catena che non fa male ma bene, perché i sentimenti ispirati dalla ragazza nell'uomo "sciolgono il sangue nelle vene", fanno bene al tutto corpo. La bellezza di questo brano, come quella della più grande poesia, sta nella capacità di raccontare un sentimento e nel provocare in noi che ascoltiamo, leggiamo e cantiamo sentimenti analoghi, della stessa intensità ma alimentati dalla somma delle nostre esperienze personali, dei nostri incontri, dei nostri amori.

L'AMORE CHE SMASCHERA - "Vide le luci in mezzo al mare, pensò alle notti là in America, ma erano solo le lampare e la bianca scia di un'elica", canta Lucio, raccontandoci di Caruso che affacciato al terrazzo ripensa alla sua vita. Quest'uomo è ora malinconico perché sa che la sua carriera è al termine, così come la sua vita. Ma ancora una volta è l'amore a salvarlo. "Potenza della lirica, dove ogni dramma è un falso, che con un po' di trucco e con la mimica puoi diventare un altro", canta Lucio, perché Caruso per tutta la vita, a causa del suo lavoro, è stato costretto a indossare infinite maschere. Ora, accanto a questa ragazza, guardando i suoi occhi "vicini e veri", "gli sembrò più dolce anche la morte". Caruso può finalmente essere sé stesso e accettare l'inesorabile fine che lo attende, cantando un'ultima volta il suo grande amore:

"te voglio bene assaje
ma tanto, tanto bene, sai
è una catena ormai
che scioglie il sangue dint'è vene, sai..."

PHOTO CREDITS: Radio1

 

 

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Pier Paolo Pasolini, le sue poesie più belle

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Pier Paolo Pasolini, ecco le sue poesie più belle

MILANO – Pier Paolo Pasolini, poeta, giornalista, regista, sceneggiatore, attore, paroliere e scrittore italiano, è considerato uno dei maggiori artisti e intellettuali italiani del XX secolo. Nel giorno dell'anniversario di nascita, vogliamo ricordarlo con le sue poesie più amate.

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Verso le Terme di Caracalla

Vanno verso le Terme di Caracalla

giovani amici, a cavalcioni

di Rumi o Ducati, con maschile

pudore e maschile impudicizia,

nelle pieghe calde dei calzoni

nascondendo indifferenti, o scoprendo,

il segreto delle loro erezioni...

Con la testa ondulata, il giovanile

colore dei maglioni, essi fendono

la notte, in un carosello

sconclusionato, invadono la notte,

splendidi padroni della notte...

 

Va verso le Terme di Caracalla,

eretto il busto, come sulle natie

chine appenniniche, fra tratturi

che sanno di bestia secolare e pie

ceneri di berberi paesi - già impuro

sotto il gaglioffo basco impolverato,

e le mani in saccoccia - il pastore

migrato

undicenne, e ora qui, malandrino e

giulivo

nel romano riso, caldo ancora

di salvia rossa, di fico e d'ulivo...

 

Va verso le Terme di Caracalla,

il vecchio padre di famiglia, disoccupato,

che il feroce Frascati ha ridotto

a una bestia cretina, a un beato,

con nello chassì i ferrivecchi

del suo corpo scassato, a pezzi,

 

rantolanti: i panni, un sacco,

che contiene una schiena un po' gobba,

due cosce certo piene di croste,

i calzonacci che gli svolazzano sotto

le saccocce della giacca pese

di lordi cartocci. La faccia

ride: sotto le ganasce, gli ossi

masticano parole, scrocchiando:

parla da solo, poi si ferma,

e arrotola il vecchio mozzicone,

carcassa dove tutta la giovinezza,

resta, in fiore, come un focaraccio

dentro una còfana o un catino:

non muore chi non è mai nato.

Vanno verso le Terme di Caracalla

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Alla bandiera rossa

Per chi conosce solo il tuo colore,

bandiera rossa,

tu devi realmente esistere, perché lui

esista:

chi era coperto di croste è coperto di

piaghe,

il bracciante diventa mendicante,

il napoletano calabrese, il calabrese

africano,

l'analfabeta una bufala o un cane.

Chi conosceva appena il tuo colore,

bandiera rossa,

sta per non conoscerti più, neanche coi

sensi:

tu che già vanti tante glorie borghesi e

operaie,

ridiventa straccio, e il più povero ti

sventoli.

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Supplica a mia madre

E' difficile dire con parole di figlio

ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

 

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,

ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.

 

Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:

è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

 

Sei insostituibile. Per questo è dannata

alla solitudine la vita che mi hai data.

 

E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame

d'amore, dell'amore di corpi senza anima.

 

Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu

sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

 

ho passato l'infanzia schiavo di questo senso

alto, irrimediabile, di un impegno immenso.

 

Era l'unico modo per sentire la vita,

l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita.

 

Sopravviviamo: ed è la confusione

di una vita rinata fuori dalla ragione.

 

Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.

Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

 

Alla mia nazione

Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico

ma nazione vivente, ma nazione europea:

e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,

governanti impiegati di agrari, prefetti codini,

avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,

funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,

una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!

Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci

pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,

tra case coloniali scrostate ormai come chiese.

Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,

proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.

E solo perché sei cattolica, non puoi pensare

che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.

Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

 

Mi alzo con le palpebre infuocate

Mi alzo con le palpebre infuocate.

La fanciullezza smorta nella barba

cresciuta nel sonno, nella carne

smagrita, si fissa con la luce

fusa nei miei occhi riarsi.

Finisco così nel buio incendio

di una giovinezza frastornata

dall’eternità; così mi brucio, è inutile

pensando – essere altrimenti, imporre

limiti al disordine: mi trascina

sempre più frusto, con un viso secco

nella sua infanzia, verso un quieto e folle

ordine, il peso del mio giorno perso

in mute ore di gaiezza, in muti

istanti di terrore…

 

Non è amore

Non è amore. Ma in che misura è mia

colpa il non fare dei miei affetti

Amore? Molta colpa, sia

pure, se potrei d'una pazza purezza,

d'una cieca pietà vivere giorno

per giorno... Dare scandalo di mitezza.

Ma la violenza in cui mi frastorno,

dei sensi, dell'intelletto, da anni,

era la sola strada. Intorno a me

alle origini c'era, degli inganni

istituiti, delle dovute illusioni,

solo la Lingua: che i primi affanni

di un bambino, le preumane passioni,

già impure, non esprimeva. E poi

quando adolescente nella nazione

conobbi altro che non fosse la gioia

del vivere infantile - in una patria

provinciale, ma per me assoluta, eroica

fu l'anarchia. Nella nuova e già grama

borghesia d'una provincia senza purezza,

il primo apparire dell'Europa

fu per me apprendistato all'uso più

puro dell'espressione, che la scarsezza

della fede d'una classe morente

risarcisse con la follia ed i tòpoi

dell'eleganza: fosse l'indecente

chiarezza d'una lingua che evidenzia

la volontà a non essere, incosciente,

e la cosciente volontà a sussistere

nel privilegio e nella libertà

che per Grazia appartengono allo stile.

 

LEGGI ANCHE: LA LETTERA DI ORIANA FALLACI A PIER PAOLO PASOLINI 

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Festa della Donna, 10 celebri poesie dedicate all’universo femminile

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Festa della Donna, 10 celebri poesie dedicate all'universo femminile

MILANO – Di donne hanno scritto in tanti – poeti, poetesse, scrittori –, in epoche diverse e con diverse connotazioni. Numerose sono le poesie che hanno come tema centrale la donna, la sua forza e fragilità, il rapporto con l’altro sesso e con il proprio mondo interiore. Per la Festa della Donna, abbiamo scelto i 10 componimenti a nostro parere più belli ed emozionanti.

 

Cantico dei cantici, Bibbia
Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe,
dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono come un gregge di capre,
che scendono dal monte Gàlaad.
I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal bagno;
tutte hanno gemelli,
nessuna di loro è senza figli.
Come nastro di porpora le tue labbra,
la tua bocca è piena di fascino;
come spicchio di melagrana è la tua tempia
dietro il tuo velo.

Tutta bella sei tu, amata mia,
e in te non vi è difetto.

 

Io voglio del ver la mia donna laudare, Guido Guinizzelli
Io voglio del ver la mia donna laudare
Ed assembrarli la rosa e lo giglio:
più che stella diana splende e pare,
e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio.

Verde river’ a lei rasembro a l’are,
tutti color di fior’, giano e vermiglio,
oro ed azzurro e ricche gioi per dare:
medesmo Amor per lei rafina meglio.

Passa per via adorna, e sì gentile
ch’abassa orgoglio a cui dona salute,
e fa ‘l de nostra fé se non la crede:

e no ‘lle po’ apressare om che sia vile;
ancor ve dirò c’ha maggior vertute:
null’om po’ mal pensar fin che la vede.

 

A tutte le donne, Alda Merini
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l'emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d'amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d'amore.

 

Corpo di donna, Pablo Neruda
Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
assomigli al mondo nel tuo gesto di abbandono.
Il mio corpo di rude contadino ti scava
e fa scaturire il figlio dal fondo della terra.
Fui solo come un tunnel. Da me fuggivano gli uccelli
e in me irrompeva la notte con la sua potente invasione.
Per sopravvivere a me stesso ti forgiai come un'arma,
come freccia al mio arco, come pietra per la mia fionda.
Ma viene l'ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del seno! Ah gli occhi d'assenza!
Ah le rose del pube! Ah la tua voce lenta e triste!
Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia.
Mia sete, mia ansia senza limite, mio cammino incerto!
Rivoli oscuri dove la sete eterna rimane,
e la fatica rimane, e il dolore infinito.

 

Alla sua donna, Giacomo Leopardi
Cara beltà che amore
Lunge m’inspiri o nascondendo il viso,
Fuor se nel sonno il core
Ombra diva mi scuoti,
O ne’ campi ove splenda
Più vago il giorno e di natura il riso;
Forse tu l’innocente
Secol beasti che dall’oro ha nome,
Or leve intra la gente
Onima voli? o te la sorte avara
Ch’a noi, t’asconde, agli avvenir prepara?
[…]

 

Donne appassionate, Cesare Pavese
Le ragazze al crepuscolo scendendo in acqua,
quando il mare svanisce, disteso. Nel bosco
ogni foglia trasale, mentre emergono caute
sulla sabbia e si siedono a riva. La schiuma
fa i suoi giochi inquieti, lungo l’acqua remota.

Le ragazze han paura delle alghe sepolte
sotto le onde, che afferrano le gambe e le spalle:
quant’è nudo, del corpo. Rimontano rapide a riva
e si chiamano a nome, guardandosi intorno.
Anche le ombre sul fondo del mare, nel buio,
sono enormi e si vedono muovere incerte,
come attratte dai corpi che passano. Il bosco
è un rifugio tranquillo, nel sole calante,
più che il greto, ma piace alle scure ragazze
star sedute all’aperto, nel lenzuolo raccolto.
[…]

 

Tanto gentile e tanto onesta pare, Dante Alighieri
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ‘ntender no la può chi no la prova;

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.

 

Maria Teresa di Calcutta
Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni.

Però ciò che è importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito è la colla di qualsiasi tela di ragno.

Dietro ogni linea di arrivo c’è una linea di partenza.
Dietro ogni successo c’è un’altra delusione.

Fino a quando sei viva, sentiti viva.
Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo.
Non vivere di foto ingiallite…
insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.

Non lasciare che si arrugginisca il ferro che c’è in te.
Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto.

Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.
Però non trattenerti mai!

 

Sonetto 18, William Shakespeare
Dovrò paragonarti ad un giorno estivo?
Tu sei più amabile e temperato:
cari bocci scossi da vento eversivo
e il nolo estivo presto è consumato.

L’occhio del cielo è spesso troppo caldo
e la sua faccia sovente s’oscura,
e il Bello al Bello non è sempre saldo,
per caso o per corso della natura.

Ma la tua eterna Estate mai svanirà,
né perderai la Bellezza ch’ora hai,
né la Morte di averti si vanterà

quando in questi versi eterni crescerai.
Finché uomo respira o con occhio vedrà,
fin lì vive Poesia che vita a te dà.

 

Il serpente che danza, Charles Baudelaire
O quant’amo vedere, cara indolente,
delle tue membra belle,
come tremula stella rilucente,
luccicare la pelle!
Sulla capigliatura tua profonda
dall’acri essenze asprine,
odorosa marea vagabonda
di onde turchine,
come un bastimento che si desta
al vento antelucano
l’anima mia al salpare s’appresta
per un cielo lontano.
I tuoi occhi in cui nulla si rivela
di dolce né d’amaro
son due freddi gioielli, una miscela
d’oro e di duro acciaro.
Quando cammini cadenzatamente
bella nell’espansione,
si direbbe, al vederti, che un serpente
danzi in cima a un bastone.

 

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Umberto Saba, le poesie più belle

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Umberto Saba, le poesie più belle

MILANO – Le poesie di Saba sono spesso caratterizzate da un tono umile e colloquiale, e sono state raccolte nel "Canzoniere", che si presenta come una vera e propria autobiografia poetica d'autore, in cui vengono presentati e trasfigurati liricamente gli episodi importanti della vita del poeta. I componimenti infatti riguardano in modo particolare la sua esperienza quotidiana, la vita in famiglia e gli affetti privati, su cui si innestano riflessioni sulla sofferenza e sulla natura umana, calate sullo sfondo, concreto e personalissimo, della città di Trieste. In occasione del suo anniversario di nascita, lo ricordiamo attraverso i suoi versi più amati.

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La mia fanciulla

La mia fanciulla snella e polposetta

è come un arboscello con le poma:

una ne mangi ed un'altra t'alletta.

La mia piccola cara è una bambina.

Teme, se tardi rincasa, legnate,

suo castigo di quando era piccina.

E quando fa quella proibita cosa

si volge, e manda sospettose occhiate,

per veder se la mamma è là nascosa.

La mia piccola cara è troppo audace.

Mette la testa con la grande chioma

fra le mani, e mi guarda a lungo e tace.

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La capra

Ho parlato a una capra.

Era sola sul prato, era legata.

Sazia d'erba, bagnata

dalla pioggia, belava.

Quell'uguale belato era fraterno

al mio dolore. Ed io risposi, prima

per celia, poi perché il dolore è eterno,

ha una voce e non varia.

Questa voce sentiva

gemere in una capra solitaria.

In una capra dal viso semita

sentiva querelarsi ogni altro male,

ogni altra vita.

.

Sera di febbraio

Sera di febbraio

Spunta la luna.

Nel viale è ancora

giorno, una sera che rapida cala.

Indifferente gioventù s'allaccia;

sbanda a povere mete.

Ed è il pensiero

della morte che, infine, aiuta a vivere

.

Il poeta

Il poeta ha le sue giornate

contate,

come tutti gli uomini;ma quanto,

quanto variate!

L'ore del giorno e le quattro stagioni,

un po' meno di sole o più di vento,

sono lo svago e l'accompagnamento

sempre diverso per le sue passioni

sempre le stesse;ed il tempo che fa

quando si leva, è il grande avvenimento

del giorno, la sua gioia appena desto.

Sovra ogni aspetto lo rallegra questo

d'avverse luci, le belle giornate

movimentate

come la folla in una lunga istoria,

dove azzurro e tempesta poco dura,

e si alternano messi di sventura

e di vittoria.

Con un rosso di sera fa ritorno,

e con le nubi cangia di colore

la sua felicità,

se non cangia il suo cuore.

Il poeta ha le sue giornate

contate,

come tutti gli uomini;ma quanto,

quanto beate!

.

 

.

Amai trite parole

Amai trite parole che non uno osava.

Mi incantò la rima fiore amore,

la più antica difficile del mondo.

.

Ulisse

Nella mia giovinezza ho navigato

lungo le coste dalmate. Isolotti

a fior d'onda emergevano, ove raro

un uccello sostava intento a prede,

coperti d'alghe, scivolosi, al sole

belli come smeraldi. Quando l'alta

marea e la notte li annullava, vele

sottovento sbandavano più al largo,

per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno

è quella terra di nessuno. Il porto

accende ad altri i suoi lumi; me al largo

sospinge ancora il non domato spirito,

e della vita il doloroso amore

.

Trieste

Ho attraversato tutta la città.

Poi ho salita un'erta,

popolosa in principio, in là deserta,

chiusa da un muricciolo:

un cantuccio in cui solo

siedo; e mi pare che dove esso termina

termini la città.

Trieste ha una scontrosa

grazia. Se piace,

è come un ragazzaccio aspro e vorace,

con gli occhi azzurri e mani troppo grandi

per regalare un fiore;

come un amore

con gelosia.

Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via

scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,

o alla collina cui, sulla sassosa

cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa.

Intorno

circola ad ogni cosa

un'aria strana, un'aria tormentosa,

l'aria natia.

La mia città che in ogni parte è viva,

ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita

pensosa e schiva.

.

A mia figlia

Mio tenero germoglio,

che non amo perché sulla mia pianta

sei rifiorita, ma perché sei tanto

debole e amore ti ha concesso a me;

o mia figliola, tu non sei dei sogni

miei la speranza; e non più che per ogni

altro germoglio è il mio amore per te.

La mia vita mia cara

bambina,

è l'erta solitaria, l'erta chiusa

dal muricciolo,

dove al tramonto solo

siedo, a celati miei pensieri in vista.

Se tu non vivi a quei pensieri in cima,

pur nel tuo mondo li fai divagare;

e mi piace da presso riguardare

la tua conquista.

Ti conquisti la casa a poco a poco,

e il cuore della tua selvaggia mamma.

Come la vedi, di gioia s'infiamma

la tua guancia, ed a lei corri dal gioco.

Ti accoglie in grembo una sì bella e pia

Mamma, e ti gode. E il suo vecchio amore oblia.

.

 

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Charles Bukowski, le poesie più belle

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Charles Bukowski, le poesie più belle

MILANO - Il 9 marzo 1994 ci lasciava Charles Bukowski. Nelle sue opere poesia e vita si compenetrano a vicenda, così che i suoi componimenti raccontano la sua quotidianità, fatta di acool e donne, di scommesse sulle corse dei cavalli e letteratura, di sofferenza umana e aspirazioni tradite. In occasione dell'anniversario della sua scomparsa vi proponiamo alcune delle sue poesie più belle.

 

"Adesso ci sono computer e ancora più computer

e presto tutti ne avranno uno,
i bambini di tre anni avranno i computer
e tutti sapranno tutto
di tutti gli altri
molto prima di incontrarli
e così non vorranno più incontrarli.
Nessuno vorrà incontrare più nessun
altro mai più
e saranno tutti
dei reclusi
come me adesso..."

 

Attraversa l'anima

"Attraversa l'anima
come una lama
e ne sonda i paesaggi
ora mesti, ora bui
dove corvi neri come pece
gracchiano così forte
da grattarti le pareti del cuore.

Percorre deliziosi giardini
decorati da candide margherite
e scaldati da un tiepido sole primaverile.
Ma quando la sua linfa
Giunta all'apice scoppia
il foglio si macchia.
Unico tampone per tale ferita..."

 

Sissignore!

"Tutti i vicini pensano
che noi siamo
strani.
E noi pensiamo
lo stesso di loro.
E facciamo
tutti
centro..."

 

Le ragazze

"Contemplo
lo stesso
paralume
da
5 anni
e s'è coperto
d'una polvere da scapolo,
e
le ragazze che entrano qui
sono troppo
indaffarate
per pulirlo.

Ma io non ci bado,
anch'io sono stato troppo
indaffarato
per accorgermi
finora.

Che la luce
balugina
fioca
dietro questi
5 anni
di vita."

 

Quando Dio creò l'amore

"Quando Dio creò l'amore non ci ha aiutato molto
quando Dio creò i cani non ha aiutato molto i cani
quando Dio creò le piante fu una cosa nella norma
quando Dio creò l'odio ci ha dato una normale cosa utile
quando Dio creò Me creò Me
quando Dio creò la scimmia stava dormendo
quando creò la giraffa era ubriaco
quando creò i narcotici era su di giri
e quando creò il suicidio era a terra

Quando creò te distesa a letto
sapeva cosa stava facendo
era ubriaco e su di giri
e creò le montagne e il mare e il fuoco
allo stesso tempo

Ha fatto qualche errore
ma quando creò te distesa a letto
fece tutto il Suo Sacro Universo."

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Festa del Papà, le poesie più belle da dedicare al proprio padre

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MILANO – Diversi poeti hanno utilizzato i propri versi per ripensare il rapporto con i rispettivi padri. Tra questi troviamo la tenera dichiarazione d’amore di Camillo Sbarbaro, il ricordo sentito di Salvatore Quasimodo, la riflessione amara e allo stesso tempo dolce di Alda Merini. Per festeggiare insieme tutti papà, vi proponiamo le più belle poesie della letteratura italiana dedicate dai poeti al proprio padre.

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Padre, Anche Se... - Camillo Sbarbaro

Padre, se anche tu non fossi il mio

padre, se anche fossi a me un estraneo,

per te stesso, egualmente t'amerei.

Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno

che la prima viola sull'opposto

muro scopristi dalla tua finestra

e ce ne desti la novella allegro.

Poi la scala di legno tolta in spalla

di casa uscisti e l'appoggiasti al muro.

Noi piccoli stavamo alla finestra.

 

E di quell' altra volta mi ricordo

che la sorella, mia piccola ancora,

per la casa inseguivi minacciando.

(la caparbia avea fatto non so che)

Ma raggiuntala che strillava forte

dalla paura, ti mancava il cuore:

che avevi visto te inseguir la tua

piccola figlia e, tutta spaventata,

tu vacillante l'attiravi al petto

e con carezze dentro le tue braccia

avviluppavi come per difenderla

da quel cattivo ch'era il tu di prima.

 

Padre, se anche tu non fossi il mio

padre, se anche fossi a me un estraneo,

fra tutti quanti gli uomini già tanto

pel tuo cuore fanciullo t’amerei.

 

A mio padre - Alfonso Gatto

Se mi tornassi questa sera accanto

lungo la via dove scende l’ombra

azzurra già che sembra primavera,

per dirti quanto è buio il mondo e come

ai nostri sogni in libertà s’accenda

di speranze di poveri di cielo

io troverei un pianto da bambino

e gli occhi aperti di sorriso, neri

neri come le rondini del mare.

Mi basterebbe che tu fossi vivo,

un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.

Ora alla terra è un’ombra la memoria

della tua voce che diceva ai figli:

- Com’è bella notte e com’è buona

ad amarci così con l’aria in piena

fin dentro al sonno - Tu vedevi il mondo

nel plenilunio sporgere a quel cielo,

gli uomini incamminati verso l’alba.

 

Il pastrano - Alda Merini

Un certo pastrano abitò lungo tempo in casa

era un pastrano di lana buona

un pettinato leggero

un pastrano di molte fatture

vissuto e rivoltato mille volte

era il disegno del nostro babbo

la sua sagoma ora assorta ed ora felice.

Appeso a un cappio o al portabiti

assumeva un’aria sconfitta:

traverso quell’antico pastrano

ho conosciuto i segreti di mio padre

vivendoli così, nell’ombra.

 

Ricordo del padre – Sibilla Aleramo

Sempre che un giardino m’accolga

io ti riveggo, Padre, fra aiuole,

lievi le mani su corolle e foglie,

 

vivo riveggo carezzare tralci,

allevi rose e labili campanule,

silenzioso ti smemorano i giacinti,

 

stai fra colori e caldi aromi, Padre,

solitario trovando, ivi soltanto,

pago e perfetto senso all’esser tuo.

 

Papà, radice e luce, portami ancora per mano - Maria Luisa Spaziani

Papà, radice e luce, portami ancora per mano

nell’ottobre dorato del primo giorno di scuola.

Le rondini partivano, strillavano:

fra cinquant’anni ci ricorderai.

 

Al padre - Salvatore Quasimodo

Dove sull’acque viola

era Messina, tra fili spezzati

e macerie tu vai lungo binari

e scambi col tuo berretto di gallo

isolano. Il terremoto ribolle

da due giorni, è dicembre d’uragani

e mare avvelenato. Le nostre notti cadono

nei carri merci e noi bestiame infantile

contiamo sogni polverosi con i morti

sfondati dai ferri, mordendo mandorle

e mele dissecate a ghirlanda. La scienza

del dolore mise verità e lame

nei giochi dei bassopiani di malaria

gialla e terzana gonfia di fango.

 

La tua pazienza

triste, delicata, ci rubò la paura,

fu lezione di giorni uniti alla morte

tradita, al vilipendio dei ladroni

presi fra i rottami e giustiziati al buio

dalla fucileria degli sbarchi, un conto

di numeri bassi che tornava esatto

concentrico, un bilancio di vita futura.

 

Il tuo berretto di sole andava su e giù

nel poco spazio che sempre ti hanno dato.

Anche a me misurarono ogni cosa,

e ho portato il tuo nome

un po’ più in là dell’odio e dell’invidia.

Quel rosso del tuo capo era una mitria,

una corona con le ali d’aquila.

E ora nell’aquila dei tuoi novant’anni

ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali

di partenza colorati dalla lanterna

notturna, e qui da una ruota

imperfetta del mondo,

su una piena di muri serrati,

lontano dai gelsomini d’Arabia

dove ancora tu sei, per dirti

ciò che non potevo un tempo - difficile affinità

di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo

cicale del biviere, agavi lentischi,

come il campiere dice al suo padrone:

'Baciamu li mani'. Questo, non altro.

Oscuramente forte è la vita.

 

 

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